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venerdì 14 dicembre 2007

Lo scontento italiano e il NYT

L'idea era quella di raccontare le frotte di italiani che si riversano in questi giorni per le strade di Manhattan felici di fare shopping scontato per via dell'euro forte. Avevo preso le solite informazioni sui posti, le convenienze, le specializzazioni, mi raccontano di agenzie tutto compreso che li imbarcano a gruppi per gite rapide tra Madison avenue e la Quinta strada e che li riportano indietro dopo tre giorni contenti di aver speso tredicesima e varie in computer e aggeggi digitali che in Italia li paghi il doppio e non importa se alla fine il viaggio ti costa come una tombola perchè comunque hai risparmiato, dipende dai punti di vista.
Cosi mi accomodo di mattina presto, per via del fuso orario, in uno Starbucks qualunque, cappuccino e giornale, a riordinare le idee prima di iniziare il viaggio nella felicità italiana delle spese scontate. E invece ecco che mi ritrovo a leggere di Italia sulla prima pagina del New York Times e non si parla di un paese felice, anzi. La parola usata, analizzata, che fa da filo conduttore alla inchiesta lunga una pagina intera del più importante quotidiano d'america sull'Italia di oggi è disagio, per essere precisi, ripetuta più volte, in italiano, "malessere". È un sentire comune dice l'autore Jan Fisher che riguarda la politica, l'economia e la vita sociale e che trova conferma in una ricerca dell'Università di Cambridge: gli italiani oggi si sentono il paese meno felice dell'Europa occidentale. Così comincia un'altro viaggio fatto di interviste a persone note e meno note che in poche parole tratteggiano l'altra faccia di questo paese. Ci sono i politici certo che dicono la loro, ma si ricordano anche le sortite di Beppe Grillo definito comico e blogger di 59 anni con una grande criniera grigia che grida in piazza "basta! Basta! Basta", una parola, traduce il Nyt, che significa ne abbiamo abbastanza. Poi si segnalano i due libri del malessere, "la casta" di Stella e Rizzo, "Gomorra" di Saviano, e soprattutto le considerazioni di italiani normali, studenti o giovani professionisti che raccontano della sensazione e della difficoltà a diventare il famoso paese normale che un tempo sembrava essere un obiettivo raggiungibile, tanto da farci titoli di libri. Ora invece la lunga e nemmeno cattiva indagine del New York Times sembra darci meno chance. Paragona il possibile destino dell'Italia a quello della Repubblica di Venezia, la città più bella del mondo, che dominò per secoli i commerci con l'Oriente e finì col perdersi senza nemmeno essere conquistata. Insomma non so alla fine se ce la faremo, so che qui a New York oggi, in questo caffè che adesso si e' riempito di ragazzi, cappello, sciarpe e computer portatili, di signore che scrivono sui quaderni e sorseggiano qualcosa di caldo, di turisti capitati per caso che aspettano l'apertura dei negozi, ho speso tre euro per colazione e giornale e ho capito qualcosa di più del posto dove sono nato.