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sabato 11 luglio 2009

Truman show, titoli di coda (lunghi)


Ora ci sono le visite guidate. Puoi entrare nella camera da letto di Obama, sederti nella poltrona che ha occupato Sarkozy, salire sul podio dove ha parlato Berlusconi. I grandi studi della mega produzione, vuoti ma non ancora smontati, sono aperti al pubblico. Non si butta niente del Truman show. Tremila giornalisti sono stati per tre giorni a guardare e scrivere in un villaggio ben illuminato in cui sembrava ci fossero i grandi della terra. Li vedevi passare ogni minuto sui grandi schermi, a piedi camminare, sfrecciare sulle automobiline, sorridere alle foto, ma praticamente nessuno li ha potuti fisicamente anche solo a scorgere da lontano, se non negli appuntamenti rigidamente fissati dal protocollo dei rapporti con i media. E' sempre stato cosi risponderanno i veterani dei vertici. Sì ma una novità c'era e stava appunto nel fatto che sembrava che i grandi fossero sempre li, in mezzo a noi. Eravamo invece spettatori e comparse di un grande show ripreso da decine di telecamere, una regia imponente che trasformava tutto in un una grande finta vicinanza. Anche le uscite all'esterno, lungo il percorso delle macerie, in realtà erano rigidamente programmate e non dai cordoni della polizia ma dalla disposizione dei dolly e delle camere fisse. Così piazza Duomo e il palazzo crollato della Prefettura erano il set esterno dell'emozione, in dettaglio e panoramiche, carrellate e primi piani. Totalmente inutili le troupe portate dai telegiornali, non potevano muoversi, dovevano restare nel villaggio, le immagini le prendevi a piene mani dal grande film che in diretta ti scorreva sui monitor. Patinate, bellissime, gratuite. Non solo. L'accoglienza per i giornalisti era totale, seduttiva, rilassante. Due bar sempre disponibili, ombrelloni e poltrone in vimini, prato verde (che lentamente ingialliva però, perchè c'è sempre un buco nella rete) ristorante iperfornito, tutto il necessario per rendere naturale la scelta di stare lì dentro, dalla mattina alla sera tardi, quando i tremila risalivano sui pulmini che li avrebbero portati a sparpagliarsi negli alberghi distanti chilometri da L'Aquila. Già, L'Aquila, proprio la città ragione dello spostamento del vertice quasi nessuno dei tremila l'ha vista dal vero. Perchè faticare per andar fuori, sul monitor passavano le scene in sedicinoni, le lagrime e le emozioni di star e macerie, le strette di mano ai poveri (e benedetti) vigili del fuoco schierati per tre giorni a favore di camera. Insomma l'ho fatta lunga ma la sensazione di una nuova inquetante efficienza nella gestione dei rapporti con i media resta. Anche quando dopo due giorni praticamente senza confronti con la stampa, la telecamera inquadra, nella conferenza finale, la fila dei giornalisti che si rinserrano dietro al microfono aspettando, se ci sarà, il loro turno. E' vero, non ci sono state grandi domande, forse il Truman show aveva prodotto il suo primo effetto.