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mercoledì 10 marzo 2010

Le loro elezioni e le nostre

Già l’altra volta, qualche anno fa, quando gli uomini e soprattutto le donne irachene si misero in fila sfidando razzi e bombe per andare a votare provammo un senso di orgoglio e di imbarazzo misto assieme. Il loro coraggio a sfidare la paura di morire per andare deporre la scheda nell’urna, quelle foto sorridenti in cui mostravano il dito bagnato d’inchiostro, prova inconfutabile del voto che li rendeva anche bersaglio della violenza, ci investiva in qualche modo di responsabilità. Avevano scelto di provare la nostra strada, quella della democrazia, pur avendo ancora soldati stranieri per le strade e una guerra portata in casa che, giusta o sbagliata, ha fatto morti a migliaia. Questa volta le scene si sono ripetute, le file, le dita inchiostrate, i volti sorridenti ma anche concentrati a leggere per bene nomi e cognomi dei candidati sulle liste nei seggi. Come se questa seconda prova di democrazia fosse più sacra della prima. Ecco allora che cresce in noi l’imbarazzo. Probabilmente non sapranno nulla di decreti salva liste, di panini fuori tempo massimo, dello scempio barbarico che qui si prova e si riprova a fare delle regole di quella stessa democrazia che le donne e gli uomini d’Iraq hanno scelto guardando anche a paesi come il nostro. Certo sarebbe difficile spiegare loro che cosa è il Tar del Lazio, meglio sperare che questi giorni italiani passino inosservati. Almeno a Bagdad. (pubblicato su DNews)