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giovedì 17 maggio 2007

la rivincita dei pensieri lunghi

Ormai non c’è fine settimana senza un Festival, quello della Filosofia appena concluso a Roma, uno di Storia si apre domani a Gorizia, in mezzo la brulicante Fiera del Libro a Torino. E sono tutte sale strapiene, per una conferenza su ragione e follia, per un discorso sui limiti della tolleranza, per un confronto serrato su laicismo e secolarizzazione. File agli ingressi, discussioni che si protraggono dopo i simposi nei caffè, ore passate a cercare di migliorare se stessi. Nell’Italia tutta si moltiplicano eventi che rispondono ad un unica, sana, corretta voglia: quella di scappare a gambe levate dall’asfissia quotidiana del mondo raccontato in pillole dalla Tv dominante (e non solo). Tutto giusto, tutto encomiabile, con qualche infiocchettatura di troppo se possiamo permetterci, ma insomma l’aria che tira da qualche tempo è quella di ritrovare il gusto della complessità, il piacere anche solo di stare a sentire qualcuno che ne sa di più e che lo racconta senza cronometro alla mano, usando la parola per costruire ragionamenti, per affrontare temi complicati, per illuminare pensieri. Pensieri possibilmente lunghi che non cercano l’assolo, che non vogliono vincere, ma che non hanno paura di lanciarsi oltre i confini (era questo, tra l’altro, il tema del Festival romano e della Fiera torinese).
E però, anche in questo, l’Italia non sembra sfuggire alla tentazione, diciamo così, del paradosso. Mentre si festeggia il ritorno del pensiero complesso nelle piazze e negli auditorium, esso si riduce fino a far perdere totalmente le sue tracce lì dove una società normale vorrebbe vederlo crescere e organizzarsi. Fate voi stessi gli esempi, provate con la politica. Fatto? Ecco allora che appare un enorme palcoscenico in cui i riflettori si accendono e si spengono, tutti gli attori corrono sotto la luce, a inseguire emergenze vere o finte (dipende dall’audience), un affidarsi allo slogan, all’urlo amplificato, al sondaggio come summa suprema del sapere, qui e ora, bussola del dove stiamo andando e perché. E quel che è peggio è che gli uomini e le donne più o meno delegati a fare da classe dirigente fanno di tutto meno che provare a spezzarlo, questo corto circuito dei pensieri corti, che slittano credendo di correre, che girano in tondo, ieri dietro agli sbarchi, l’altro ieri dietro agli ultrà, oggi appresso al tesoretto, stasera al family day, domani chissà.
Colpa certo anche dei mille taccuini e microfoni sempre pronti a registrarli ma che sorpresa sarebbe se un giorno un politico qualunque a domanda qualunque, dopo un bel respiro, rispondesse. “È materia complessa, ho bisogno di tempo, di tempo per pensarci”. Chissà che dopo uno smarrimento collettivo non spuntasse alla fine la cosa giusta da dire e, soprattutto, da fare.