http://Il tuo 5x1000 ad Amnesty International

giovedì 24 maggio 2007

La monnezza e Pasolini

Che il fuoco faccia impressione lo si sa, dai tempi di Nerone. Più vicino a noi lo avevano capito benissimo i casseurs delle banlieues parigine che, nell’autunno di due anni fa, incendiarono automobili a centinaia; illuminavano il loro rancore di esclusi con una violenza autodistruttiva, davano alle fiamme non le macchine dei ricchi ma quelle sottocasa dei padri e dei fratelli, poi si rivedevano le imprese il giorno dopo in tv e magari stabilivano qual’era stata la banda più brava delle altre. Comunque tennero in scacco polizia e governo per tre settimane. Bruciare a caso costava poco e rendeva molto, sul piano dello spettacolo, erano decine gli inviati delle tv di tutto il mondo cui venivano servite su un piatto d’argento immagini di grande impatto, la tentazione di dire “Parigi a ferro e fuoco” era quasi irresistibile. Tanto che un certo giorno fu lo stesso Ministro degli Esteri a convocare i giornalisti per dire basta, se continuate a soffiare sul fuoco così, l’immagine della Ville Lumiere nel mondo va a farsi benedire. C’era il Natale alle porte e tutto si poteva concedere meno che imbrattare la cartolina della città.
Ora il cambio di scena ci porta a Napoli e ai comuni attorno al Vesuvio. Come nel caso delle banlieues si fa fatica a distinguere torti e ragioni, responsabilità e vie d’uscita. ma anche qui ci fermiamo impressionati a guardare. Questa volta sono le montagne di rifiuti che bruciano, i cassonetti divenuti carcasse che si offrono alle telecamere come dopo un attentato. Ovviamente non tutte le strade saranno così, non tutti respireranno quei veleni e però, anche in questo caso, la cartolina della città e del suo panorama sembra sporcarsi irrimediabilmente, i napoletani farsi male da soli.
C’è un libro che trascrive lezioni di Storia economica all’Universita Statale di Milano. Qualche tempo fa il professor Giulio Sapelli decise di dedicare il corso al capitalismo secondo Pasolini (che fortuna gli studenti di quell’anno), al suo sguardo, tanto facile definire profetico oggi, che trafiggeva un’Italia alle prese con quella che chiamava una modernizzazione senza sviluppo. A un certo punto si parla della napoletanità “Non so se gli esclusi dal potere napoletani preesistessero, così come sono, al potere, o ne siano un effetto. Cioè non so -dice Pasolini- se tutti i poteri che si sono susseguiti a Napoli, così stranamente simili tra loro, siano stati condizionati dalla plebe napoletana o l’abbiano prodotta. Certamente c’è una risposta a questo problema: basta leggere la storia napoletana non da dilettanti”.
Ecco, ci vorrebbe uno così per commentare l’umanità del Vesuvio assediata dall’immondizia, che brucia i detriti di quello che consuma, falò che illuminano eterna rabbia e impotenza. Ma un Pasolini non c’è più, anche questo, forse, è un segno.