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lunedì 19 maggio 2008

Corride


Divagazioni di ritorno dalla Spagna, così, per evitare depressioni su rom, rifiuti e roghi purificatori. Tante cose ci sarebbero da dire, Zapatero non è così luccicante come sembra, la crisi morde assai e adesso si leccano le ferite di programmi e previsioni sbagliate, vedi case costruite a migliaia e che nessuno può più comprare, immigrazione che diventa zavorra incandescente con la disoccupazione che aumenta. Ma avendo scelto di divagare, parliamo di corride. Non le ho viste dal vivo, in questo periodo di festa a Madrid, ce n’era una al giorno. Ma la sera quando tornavo in stanza, una raffinata tv via satellite le trasmetteva, per tutta la notte. Con la stessa tecnica delle partite di Coppa. Replay, dettagli, rallenty, sfocature, interviste, vip, parterre, a inframezzare i sei tempi della serata. Sei tori, per tre toreri, due a testa. E non so come raccontarlo. Perché si potrebbe scegliere la strada della procedura, del rito, della cerimonia, tutta uguale apparentemente, con le varianti racchiuse in un volteggio (non userò la terminologia corretta, non ho studiato, non voglio saperla, tutto mi si confonde tra banderillas e matador) in una stoccata, in una piroetta e in un saluto al pubblico, con fischi, silenzio oppure ovazione a seconda della bravura del torero nel farla finita subito ma non troppo. Invece quello che ricordo adesso è solo un susseguirsi di primi piani, gli occhi dei tori che guardano fisso davanti a loro e non riescono a capire perchè devono correre all’impazzata, o voltarsi quando l’uomo che hanno davanti li chiama con urla stupidamente caricaturali (e scusate ancora gli aggettivi banali e generici), oppure i dettagli ravvicinatissimi (ecco la corrida in tv) dei toreri, più sono giovani e più sono mostruosamente marionette, quelle smorfie del volto tutte enfasi e brillantina mentre incitano la bestia (che è in loro suppongo) a farsi avanti e attaccare. E ancora il ripetersi, come per un gol, della scena finale, di quell’attimo dove tutto è già stato scritto, in cui il toro, stanco, con la bava alla bocca e la lingua che penzola aspetta, sperando almeno che il giovane torero lo uccida con un colpo esatto, senza strascichi e si passi ai saluti. Perché invece spesso questo non succede e allora la telecamera, annoiata, indugia altrove, verso le signore incappellate che dicono ohhh, oppure i cronisti che cominciano a parlar d’altro intervistando l’ospite di turno. Intanto il toro è lì, che scalcia e barcolla circondato da quelli con la mantella viola, cercando di capire dov’è l’uscita e il perché di quel dolore lancinante ma non definitivo. E il torero, codardo e indispettito, sta un po’ defilato a sperare che alla fine l’animale crolli comunque, aiutato dai pugnali dei collaboratori in viola. Lo so, è una cronaca ignorante, incolta, dilettantesca ma è quello che si vede in tv. Ed è altrettanto potente, delirante, come quelle immagini riproposte a ripetizione, addirittura trasformate in fascinose fotografie in bianco e nero come vecchie stampe del tempo che fu. Non voglio aggiungere niente alla discussione tra animalisti e tradizione, non voglio come risposta nemmeno una delle valanghe di parole sulla vita beata dei tori fino a quel giorno paragonata all’oscura carneficina del bestiame che ci nutre quotidianamente. No, era solo che dovevo scrivere per ricordarmelo, perché l’unica cosa che invece non dimenticherò è stato l’ingresso delle mucche pezzate nell’arena, chiamate a recuperare e scortare fuori l’unico toro che sarebbe uscito vivo dalla corrida. Quello che si era rifiutato di combattere. Una, due, tre volte aveva ignorato l’incitamento del giovane uomo in costume e anzi, deliberatamente, aveva cercato di ritrovare da solo la via d’uscita. Un toro pacifico, un’umiliazione per tutti, per me la star della serata.(da DNews)