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lunedì 23 giugno 2008

La tessera del signor Umberto

Immagino la prima volta che il signor Umberto riceverà la piccola carta allo sportello della Posta. Lo sguardo compassionevole dell’impiegata che gliela farà scivolare assieme alla ricevuta e alle quattro o cinque banconote della pensione. Dovrà firmare qualcosa forse ma non deve preoccuparsi, tutto sarà anonimo, così hanno assicurato i superiori. Il signor Umberto non sa se deve ringraziare, si guarderà intorno poi prenderà tutto e andrà via in fretta, che il percorso tra la Posta e la casa in certi giorni è il più pericoloso. Ha sentito i telegiornali, li sente sempre perché ha tanto tempo a disposizione e non mancano mai di parlare di quelli come lui, che non riescono ad arrivare alla fine del mese. Anziani e pensionati soprattutto, si sentono le voci dei giornalisti mentre scorrono immagini di vecchi con la busta per la spesa, qualche volta addirittura parlano proprio quelli come lui, pochi secondi col microfono davanti, “è vero non ce la facciamo più” e poi via, altro servizio sui cuccioli di foca o sulle sfilate di moda, insomma si sa, i tg hanno poco tempo e le cose da dire sono tante. Ma quella della carta l’aveva sentita, la social card, cosi l’aveva chiamata il ministro, quattrocento euro, al mese, all’anno, una volta sola, questo non l’avevano spiegato ma i quattrocento euro, si, l’avevano detto chiaro e tondo. Per quelli che non riescono a comperare il pane e il latte, cosi aveva detto il ministro. I soldi li prendiamo ai petrolieri, aveva aggiunto e il signor Umberto aveva pensato, ben detto, che tanto io non ho la macchina e non ho problemi con la benzina. Avevano anche spiegato che serviva per avere sconti al supermercato o per pagare di meno le bollette della luce e del gas.
Adesso la tessera è tra le sue mani, la gira e rigira e pensa a come usarla, dove andare a spendere quella fortuna inaspettata. Quanta spesa avrebbe fatto, quante volte, bisognava organizzarsi, non poteva dilapidare. E allora prova a fare i conti, si ingarbuglia un poco poi decide che la cosa migliore è questa, avrebbe fatto la solita spesa, al solito supermercato sotto casa, nulla di più, nulla di diverso, solo con la carta nel portafoglio. Così si prepara, mette il guinzaglio al cane e si avvia verso il negozio. “Buongiorno signor Umberto” sorride il capo dei commessi che sistema i carrelli all’ingresso “il cane lo lasciamo fuori” “Si come sempre, stai buono qui, Flaik”. Spesa solita aveva detto e quindi non ci mette molto, compatibilmente con la velocità che si può permettere, semmai una scatoletta in più oggi, per il cane che l’aspetta fuori, pochi minuti e si ritrova davanti alla cassa. “Buongiorno signor Umberto” lo saluta la cassiera mentre passa la sua spesa al lettore ottico “sono 18 euro e 25, mi dà la tessera?”
Non so che tessera tirerà fuori il signor Umberto, spero quella del supermercato e perdonate anche la sfrontatezza del richiamo al protagonista del film di De Sica, so solo che più di cinquant’anni fa con Umberto D. questo paese raccontava la tenerezza, il pudore, la dignità, lo strazio di ritrovarsi in povertà e immaginava una società in cui fosse un diritto per tutti il lavoro, la scuola, l’assistenza. Oggi una tessera per i poveri viene sbandierata come una trovata geniale, una storia da raccontare in televisione come la politica economica del ventunesimo secolo, quella in grado di togliere ai cattivi che si sono arricchiti un po’ troppo per distribuire qualcosa ai più poveri, a patto che alzino la mano e si facciano riconoscere. Torna in mente la scena in cui Umberto D. dopo mille ferite dell’anima prova a tendere la mano per chiedere l’elemosina ma non ce la fa, è più forte di lui e quando un passante si avvicina la gira improvvisamente sul dorso come a dire, chissà, forse sta per piovere. Ma quello era neorealismo, oggi va molto Robin Hood.(pubblicato su DNews)