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lunedì 16 giugno 2008

L'Italia di Oscar

Mentre aspetto di vedere che fine farà l’Italia agli europei, che fine farà l’Europa dopo il No irlandese e che fine faranno petrolieri, banchieri e assicuratori dopo l’annuncio della Robin Hood tax, la tassa bellissima che il ministro Tremonti tiene chiusa nella sua borsa pronto a svelarla al prossimo consiglio dei Ministri, scopro che la mia vecchia 500 rischia di perdere il motore per strada perché il fascione che lo sostiene (fascione lo chiamano proprio così, i tecnici) sta andando in pezzi. Ora non ve la faccio lunga sul perchè mi ostino a viaggiare su un’automobile scomoda e fragile come Lei, chiamatelo passatismo, snobismo o solo attaccamento alle cose ma insomma cosi è, con tutti i rischi e le contromisure che comporta, meccanici e carrozzieri sparsi sul territorio, ma anche le soddisfazioni e gli incontri che qualche volta procura. Dirvi dei bigliettini sotto i tergicristalli che cominciano con un “Scusi lo so che mi dirà di no, ma se per caso avesse (mi scusi ancora) l’intenzione di venderla, questo è il mio numero…” fa parte delle soddisfazioni, il tema serio è quello degli incontri, invece. Perché una vecchia automobile non ha bisogno di schede elettroniche ma di manutenzione, non prevede assistenza globale ma competenze antiche, non vuole prenotazioni computerizzate dei ricambi ma manualità sempre più rare, incontri appunto, con persone preziose. Come quello con Oscar, andato più o meno così. Succede che uscendo dal garage io senta il rumore premonitore del fascione agonizzante, mi trovi lontano dai miei ancoraggi soliti, decida di fermarmi all’officina appena sotto casa. A dirvi la verità prima o poi l’avrei fatto comunque, perché lì, davanti all’ingresso, tutti i giorni sosta in bella vista l’auto personale del titolare, Oscar appunto, una Fiat 600, praticamente coetanea della mia e già questo era buon segno. Il punto è che temevo le risposte standard, tipo “non è roba mia ma di un carrozziere”, poi “qui si deve cambiare il fascione, bisogna ordinarlo, ci vorranno giorni”, per finire con quella inappellabile “ora comunque non ho tempo”. E invece è successo questo, che Oscar ha preso in cura la macchina, ha detto “ci penso io” e ha smontato il fascione come un carrozziere, ha saldato lì dove serviva, ha applicato bulloni di supporto, ha raddrizzato col martello come un fabbro gli spessori del paraurti, ha rimontato il tutto, poi come un meccanico ha regolato la distanza del motore e del cambio e sistemato il filo del motorino di avviamento. Tre mestieri in un’ora secca, l’opera di un artigiano solo e la vecchia 500 era pronta a dire grazie. Mentre lo vedevo lavorare pensavo al centro assistenza di una miniauto che avevo incrociato per altri motivi mesi prima. Bigliettino da prendere, aspettare che ti chiamino, ti preparino una scheda, ti dicano vuole un preventivo, il solo preventivo costa x e lo torni a prendere domani, e se c’è un ammaccatura dobbiamo sostituire il pezzo, riparare non se ne parla. Mentre Oscar si avviava a concludere non potevo fare a meno di pensare che stavamo perdendo qualcosa, la modernità che ci impone di comperare, di buttare e di sostituire sta perdendo non solo mestieri ma anche uomini e relazioni. A questo punto si è avvicinata una signora che doveva ritirare un ciclomotore, guarda Oscar al lavoro e aspetta, io azzardo, quasi a scusarci perché si era tutti attorno al vecchio trabiccolo, “signora questa è una scena da Italia degli anni sessanta” lei sorride, è americana credo ma è qui da tanto e con il suo accento replica “no, questa è una scena di quando l’Italia funzionava”. Una sintesi così amara, nemmeno un editoriale del New York Times.
La fine che farà un’Italia così mi sta a cuore, non so se è di destra o di sinistra, è l’Italia di Oscar, da Oscar verrebbe da dire, se non fosse troppo filoamericano.(pubblicato su DNews)