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mercoledì 30 luglio 2008

Gloria, la casa e il soldato

New York. Le casette di Jamaica Queens sembrano quelle delle bambole. Una di fianco all'altra, cottage di legno un piano e una soffitta, giardini minuscoli e verande dove al massimo ci sta una sedia, e quasi sempre un vecchio seduto sopra. Sono loro quelli che hanno acquistato casa venti o trenta anni fa, i giovani adesso non ce la fanno, vanno via a cercare quartieri piu convenienti. Quelli che ci hanno provato a comperarla, adesso fanno i conti con la crisi dei mutui che in zone come queste ha picchiato durissimo. In certe strade quasi una casa su quattro è pignorata. Cartelli con scritto su "vendesi" spuntano ad ogni angolo. L'incubo di non riuscire a pagare le rate, assieme a quello di non avere piu soldi per fare il pieno, colpisce al cuore le famiglie americane, come i fantasmi di due guerre che sembrano non volere finire. Con l’Afghanistan che adesso fa di nuovo più paura dell’Iraq. L’economia in crisi è quella che piano piano ti impedisce di usare l’automobile, perché la benzina è schizzata a oltre quattro dollari al gallone, ma soprattutto è quella che d’improvviso ti toglie la casa che speravi di avere conquistato. E vederle tutte in fila queste piccole case, con i peluche alle finestre, con la bandiera a stelle e strisce che sventola, ti fa capire che cosa voglia dire per una famiglia perderla, quando la banca te la riprende indietro, è il sogno piu' grande che fallisce. Le guerre invece sono quel rumore di fondo che punteggia da anni le stagioni, con qualche ragazzo che non torna dal fronte e se hai fortuna è sempre uno che non conoscevi.
La storia di Gloria racconta bene di questi giorni americani, li mette a fuoco perfettamente e non ti lascia scampo.
Andiamo a trovarla nel Queens, all’angolo di Liberty avenue, nella zona di South Ozone park, quartiere nero, povero, dignitoso. Ci aspetta sulla scale di casa.
Gloria, ventitre anni, la casa la vuole salvare ma la sta perdendo. La banca l’ha pignorata, non sono riusciti a pagare le rate del mutuo. Non ce l’ha fatta lei, ma soprattutto Andrew, il suo compagno, che per evitare di perderla era tornato per la seconda volta in guerra. Dopo l’Iraq, l’Afghanistan “lo stipendio questa volta era più alto”, ci dice Gloria e invece a giugno, sulla strada di Kandahar, una bomba lo ha ucciso. Ci fa vedere la sua targhetta di soldato che adesso lei ha appesa al collo, poi le foto di lui, con i bambini, sul divano, in divisa con i compagni di missione. Misura le parole Gloria, quando le chiediamo se qualcuno la sta aiutando “per adesso non so cosa accadrà” la banca ha i suoi tempi e non discute, gli amici e i parenti sono come loro, in difficoltà a tirare avanti. Non erano nemmeno sposati, la burocrazia statale, l’esercito, non si è fatto vivo nessuno. Non sa rispondere Gloria ma ci vuole portare nel parco giochi del quartiere, qualche centinaio di metri più in là. Lì, davanti a un muro di cemento, una decina di lumini spenti a terra ricordano la loro storia, articoli di giornale attaccati con il nastro adesivo “la guerra colpisce la casa” le ultime parole del soldato “resisti, non mollare la casa”. Le chiediamo della guerra, ci dice “è terribile ma Andrew ci è andato per il suo paese, per noi, per la nostra libertà”. Nessun rancore porta Gloria, anche quando tra le lagrime sussurra “che cosa puoi fare quando quello che ti succede è troppo grande da sopportare”. Difficile lasciare quel parco dove bambini neri continuano a giocare.(pubblicato su Dnews)