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mercoledì 16 settembre 2009

Lettera alla signora E.


Che posso fare adesso per Lei? Niente e Lei lo ha sempre saputo. Forse posso solo raccontarle come è andata stamattina, nella chiesa di via dei castani, a due passi da casa sua, in via dei ciclamini. Brutta eh! quella chiesa, anche questo lo sapeva. Non poteva sapere invece che il prete adesso è un giovane africano diventato parroco da soli sei giorni. Lui nulla sapeva di lei, solo un foglietto di due righe che gli avevano consegnato prima della Messa. “Disponibile, gentile con tutti, generosa, due figli, un nipote, frequentava la chiesa” cosi c’era scritto e cosi lo ha letto, solo che poi ha cominciato a parlare ed è sembrato che la conoscesse da sempre, che raccontasse la sua storia e, di più, che la mescolasse ai suoi ricordi di bambino, quasi si vedevano polvere e capanne, terra rossa e madri e nonne attorno al fuoco che danno consigli ed esempio soprattutto, e poi si incamminano a cercare acqua, lontana ore e chilometri. Che splendido paese veniva fuori dalle sue parole, e Lei c’era dentro, era quella donna generosa che mai accenna alla fatica, mai cede al pessimismo e tutto affronta e risolve sorretta da una dignità istintiva e profonda. Che onore averle ceduto le chiavi di casa, averle affidato per tutti gli anni che adesso sembrano un soffio, l’onere di farla rassomigliare ad un focolare mentre noi (che poi siamo diventati due) stupidamente pensavamo ad altro, a correre senza direzione.
Da quando ha dovuto lasciare ogni camicia strappata è rimasta lì, ogni macchia difficile, e non ci sono più quegli odori, quei profumi che ci aspettano quando torniamo. Sono piccole cose lo so, ma oggi, dopo il funerale sono tornato a casa e ho provato a fare io, pollo con i peperoni. Ho lasciato il tegame coperto ad aspettarci. Stasera, quando torniamo.