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domenica 24 giugno 2007

I cattivi ragazzi

Lasciamo perdere gli angeli che vengono spiumati da una sgommata della vetturetta. Ognuno, soprattutto se lo pagano milioni per uno spot, ha il diritto di pensare che la sua è una buona idea. Quello che preoccupa sono piuttosto le parole, usate con la forza, la disinvoltura e la giocosa licenza di trasgressione che si concede la pubblicità, sempre più spesso. Ora, consapevoli del rischio moralismo, bigottismo, passatismo, procediamo con cautela. Nel medesimo spot l’idea chiave è quella che essere cattivi funziona. “Cattivi dentro” per la precisione, recita la versione radiofonica, quella su carta più ragionata fa così “dedicata (la vetturetta n.d.r.) a chi sa di essere buono, ma che ad essere cattivi ci si diverte di più”. Non è il primo spot del genere. Ricordiamo il giovin signore di un altro filmato, svegliato da un maggiordomo che scuote le tende portando caffè e brioche e lui, sguardo per un attimo interrogativo, che scioglie l’enigma ed esce. Da lontano, su un poggio, due anziani fattori lo vedono scivolare via su una delle tante auto di famiglia e uno, con aria compiaciuta per quello scavezzacollo del loro padroncino, dice all’altro “Oggi ha preso il coupè!”. Allora veniamo al punto. Se la comunicazione ben riesce, nulla da eccepire, anzi, da sempre la pubblicità rivendica il ruolo di avanguardia nel fiutare l’aria che tira. Ma proprio per questo siamo preoccupati. Perché se cerca quel consumatore, vuol dire, purtroppo, che quel consumatore esiste. O sogna, prima o poi, di diventare così. Indimenticabile, a proposito, un altro spot di qualche tempo fa. Ennesimo, lussuoso coupè parcheggiato nel cortile di una scuola. In classe la maestra chiede ai ragazzi cosa vogliono fare da grandi, rispondono, il medico, l’astronauta, la scienziata, solo uno, faccia da futuro belloccio dice, guardando il macchinone pronto in cortile, “avere diciotto anni”. Qui il ritratto del consumatore tipo era davvero straordinario, trattavasi di giovane essere umano il cui unico problema nella vita era superare quegli intralci burocratici che lo dividevano dallo sgommare via sul coupè, e badate bene, non si parlava naturalmente dei soldi, né si accennava lontanamente all’idea di come farli, semplicemente quelli c’erano, il problema era solo di tempo e di carta d’identità. Il resto, e dalla pubblicità facile passare con la memoria alla cronaca, qualche volta anche nera, l’avrebbe fatto quel distratto del paparino, che avrebbe staccato un assegno per il coupè da infiocchettare la sera dei diciotto anni. Ora il fatto che professionisti acuti, disincantati come i pubblicitari trovino geniale e soprattutto redditizia un’idea così ci preoccupa, perchè fotografa un’Italia che c’è. Ecco, alla fine siamo caduti nel moralismo ma va bene così.