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venerdì 1 giugno 2007

Il perdono e gli anniversari

Impegnati a dividerci tra politica e antipolitica, “presidente” e “segretario” per i più introdotti, destra e sinistra per i demodé, sarà difficile portarvi fino alla fine di questo biglietto.
Parlare di riconciliazione in un paese che non chiude mai una discussione, che non trova mai una salutare pausa alle torte in faccia sarà dura, eppure è giusto tentare. Almeno per quello che è stato. Lo diciamo subito, giocano contro di noi gli anniversari, ce ne sono sempre e si può star certi che, ogni volta, c’è un libro benvenuto a riaprire il caso. Fioriscono puntuali ad ogni scoccar di ricorrenza e via riparte lo scontro, le vittime e i carnefici, tutti ad accaparrarsi i testimoni del tempo da intervistare, tutti a scavare dentro rancori mai sopiti, divisioni mai sanate. È vero, a dare man forte a questo tratto del nostro carattere è sicuramente la lunga catena di tragedie insolute, verità mai completamente dimostrate, sentenze per insufficienza di prove che ci accompagnano da una vita. Cresciuti con Piazza Fontana, passati per Ustica, possiamo tornare indietro alla Resistenza, andare avanti di nuovo alla stazione di Bologna e oltre, discuteremmo per ore fino a sfinirci, non ci sarà mai traccia di riconciliazione, figuriamoci di perdono.
È per questo che voglio condividere con voi il ricordo di una giornata passata, qualche tempo fa, a Città del Capo, Sudafrica. C’è una riunione in una Community house (una cosa a metà tra Casa del popolo e comitato di quartiere), si lavora su un giorno dell’estate di venti anni prima. Un gigantesco incendio provocato dalla polizia e dagli squadroni della morte del governo di allora, quello dei bianchi razzisti per intenderci. Ci furono decine di morti e oggi in questa stanza ci sono i sopravvissuti. Prendono la parola donne, vecchi e ragazzi di allora. Raccontano quello che hanno subito aiutandosi con grandi disegni fatti da loro. “io ricordo le urla di un uomo dentro la baracca in fiamme” “La paura mi viene ancora oggi a pensare a quella donna incinta, uccisa davanti a me”. Provate a immaginarli, uno dopo l’altro, che si alzano, senza piangere, senza urlare, semplicemente narrano. Come cantastorie. A sentirli venivano i brividi, chiedevano ancora giustizia ma non c’era vendetta nei loro discorsi e, alla fine, applausi per tutti. Era una delle tante puntate di una storia gigantesca, quella di un paese che ha saputo trovare la forza di abbattere uno dei regimi più odiosi senza bagni di sangue e di ricominciare con la forza della verità e della riconciliazione. Gli aguzzini ottenevano il perdono ma solo dopo aver ammesso le colpe davanti alle vittime. Ho pensato tante volte a una cosa così in Italia, non me la ricordo.