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venerdì 29 giugno 2007

La lunga vita

Che il problema pensioni sia complicato è davvero sotto gli occhi di tutti. Almeno da una decina d’anni, quattro o cinque governi, tutti gli schieramenti, se lo ritrovano sul tavolo. Provano di volta in volta se non a risolverlo almeno a rinviarlo alla stagione successiva, non senza prima aver vissuto momenti di drammatica tensione con i sindacati, vertici notturni, scioperi generali. In genere le parti in scena sono queste: i rappresentanti dei lavoratori che frenano, dicono le cose stanno bene così, i governi che premono, guardate che se non si fa nulla, il sistema non regge. Questa volta le parti sono invertite per via dello scalone, cioè della simpatica trovata dell’ex ministro Maroni di aumentare l’età per andare in pensione da 57 a 60 anni da un giorno all’altro, dal 31 dicembre al 1 gennaio del prossimo anno. Cosicché questa volta sono i sindacati a premere perché si faccia qualcosa, cioè si cancelli quella norma e il governo di turno a barcamenarsi con la patata consegnatagli da quello precedente.
Diciamo subito che non parleremo, qui davvero ci sono fior di specialisti, della faticosa ricerca di un’intesa, della calcolatrice di Padoa-Schioppa contrapposta ai lavori usuranti, dello scalone ammorbidito ma non troppo, delle quote e di tutte le tabelle che seguiranno. No, vorremmo solo sommessamente ricordare che il “macigno” pensioni in realtà è, al fondo, davvero un bel problema. Non solo nel senso di una sua difficile soluzione ma in quello letterale del termine, cioè, è una “bella” questione che si pone, non a caso, soltanto in società del benessere in cui uomini e donne vivono più a lungo. Se i conti non tornano più, nel dare e avere tra lavoratori e pensioni, è infatti perché la vita media degli italiani, uomini e donne, si è allungata. In altre parole trent’anni fa si andava in pensione a 55 anni ma mediamente si godeva del meritato e retribuito riposo per sei o 7 anni. Oggi si lascia il lavoro a 57 (domani chissà) ma aumentano gli anni in cui si è a carico del sistema perché, per fortuna, ripetiamo, per fortuna, si vive molto di più. Certo poi c’è tutto il resto, il monte contributi che decresce perché non crescono i lavori stabili, l’incertezza che accompagna i nuovi lavori, c’è tutto quello, insomma, che determina la fragilità finanziaria delle pensioni future. E però se finalmente una volta, al prossimo vertice, tutti insieme, ministri e rappresentanti dei lavoratori si alzassero a dire: abbiamo si un problema ma è un problema che nasce dal fatto che gli italiani, nonostante tutto, stanno di più al mondo, ecco, forse, allora, saremmo già entrati nell’epoca del vituperato buonismo, o almeno, in quella del buonumore. E chissà che, sotto il segno di Walter, non ci scappi un accordo.