
lunedì 31 marzo 2008
Noi il Tibet e la Cina

domenica 30 marzo 2008
Avviso
mercoledì 26 marzo 2008
Campagne elettorali

Poi ci sono i programmi. E qui si potrebbe saltare direttamente nella marmellata dei dibattiti in tv dove, litigando, spesso si ripetono le stesse cose: abbassare le tasse e salvare l’Alitalia, aumentare i salari e risanare i conti pubblici, difendere il Tibet senza dare fastidio alla Cina. E invece no, vi vogliamo segnalare una mail che ci arriva da Londra, quattro ragazzi italiani che sono lì a studiare, peraltro in una delle scuole più prestigiose del mondo la London School of Economics, e che hanno avuto una idea semplice e ingenua al punto tale che, chissà, potrebbe indicare una via. Hanno messo su internet, (quattrogattilse.googlepages.com) diapositive e ragionamenti sui conti pubblici italiani, parlano della differenza tra pressione fiscale e aumento delle tasse, spiegano chi ha guadagnato e chi perso nel corso di questi due ultimi governi. Ci vogliono cinque minuti di attenzione e di silenzio, da soli davanti al computer, e si capiscono molte cose. Un’altra campagna elettorale -almeno quella- è possibile. (da DNews)
mercoledì 19 marzo 2008
I silenzi di Napoli

I rifiuti -mi raccontano- sanno benissimo come sparire miracolosamente dalle strade del centro e dei quartieri alti mentre invece si sistemano, si aggiustano in via definitiva nell’altra Napoli, quella che sconfina nell’indefinita provincia di sé stessa, azzannata ogni giorno da camorra e telegiornali che ripetono a tutti noi che non c’è niente da fare. E loro zitti. Non tutti per la verità. Il caso di Roberto Saviano e del suo best seller Gomorra sta lì, incastonato nella casella eccezione, che si è quasi trasformato in un marchio di fabbrica. I suoi interventi, con tanto di copyright, sembrano già dei classici, e quindi sorprendono meno. Poi ci sono quelli che sono andati via dalla voragine di bellezza e fango che impasta insieme questa città. Vecchia storia quella di abbandonare, dal “fujtevénne a Nàpule” urlato da Eduardo fino ai distacchi più dolorosi e meno ricordati come quello di Anna Maria Ortese che nel suo libro più bello e controverso il mare non bagna Napoli, ripubblicato da Adelphi, scriveva “E dopo? Dopo venne il tempo di partire. Partimmo (o morimmo?) a poco a poco tutti…il cortile era là, vuoto e muto. Tutti gli addii erano stai recitati”. La Ortese se ne andò in solitudine e in polemica proprio con gli intellettuali della città che non avevano gradito il ritratto di Napoli, al tempo stesso realista e visionario, che lei aveva dipinto nelle novelle di quel libro. Erano i primi anni 50 e da allora ancora oggi, a dieci anni dalla sua morte, il 9 marzo del 98, si fa fatica a squarciare il silenzio su quella che è considerata, più all’estero che da noi, una delle voci definitive della letteratura italiana del novecento. Forse per questo diventa ancora più prezioso un piccolo libro di Adelia Battista, Ortese segreta, uscito in questa stagione per minimum fax. Cento pagine che raccontano di un insperato carteggio tra la scrittrice e la giovane studiosa che si trasforma poi in amicizia delicata tra le due donne e che permette a noi di riconoscere il dolore dell’isolamento e del distacco vissuto dalla Ortese per quasi tutta la sua vita. “Con il mare non bagna Napoli volevo fare del bene alla mia città, perché mi sentivo parte di essa” racconta in uno degli incontri nel suo esilio ligure di Rapallo e in un biglietto indirizzato al professore della ragazza “chissà che un giorno non venga a Napoli, magari in compagnia di Adelia. Sarebbe un sogno.” A Napoli non riuscì più a tornare. Quante storie racconta il silenzio. (da DNews)
mercoledì 12 marzo 2008
Dimenticare Baghdad

Sento già il brusio vivace dell’obiezione. Non è Bush che ha cominciato, non è stato lui ad attaccare. Vero. Nessuno può dimenticare che l’inizio della storia fu l’11 settembre del 2001. Non lo fanno gli americani che ancora oggi, sullo sfondo di tutte le loro discussioni, respirano la polvere e le schegge di quella mattina. Leggere anche solo le ultime pagine de l’uomo che cade il libro che Don DeLillo ha scritto lentamente in questi anni per essere sicuro di afferrare quello che era stato e come avrebbe segnato per sempre la vita di New York, fa capire che ogni archiviazione è impossibile. Per loro e per noi.
Forse proprio per questo, però, fa rabbia ripensare alla sicumera con la quale il comandante in capo di quel paese ferito a morte e i suoi consiglieri sbagliarono, una dopo l’altra, quasi tutte le mosse successive. Non tanto i primi mesi in Afghanistan quando tutto il mondo gli diede mandato di cercare e trovare il responsabile di quella guerra sferrata al cuore dell’America, quanto poi la virata, rivelatasi bugiarda e nefasta, per puntare sull’Iraq. Chi si ricorda non solo le fialette che il buon Colin Powell dovette esibire al Palazzo di vetro per giustificare l’attacco a Saddam ma soprattutto la proterva certezza, rivelatasi tragicamente dilettantesca, che tutto si sarebbe sistemato in pochi mesi, il paese del dittatore trasformato in una base sicura per gli Stati Uniti, da lì avrebbero governato i rubinetti del petrolio e gli equilibri dell’intera regione. Anche ammesso (e niente affatto concesso) che fossero giusti e morali quei piani, così non è andata. Ecco allora, prepariamoci al quinto anniversario di Baghdad, chissà se qualcuno di quelli impegnati a girare il nostro paese, spiegando o stracciando programmi, si ricorderà di parlare chiaro agli amici americani, impegnati a scegliere, almeno loro, il futuro comandante in capo. Prima che ci chiedano altri soldati proviamo a dirgli ad alta voce perchè sentano bene: mai più una guerra così stupidamente ideologica, mai più trascinare alleati senza chiamarli a discutere. Perché combattere il terrorismo è una cosa seria. (da DNews)
mercoledì 5 marzo 2008
Quell'Italia che va a gas

Provate ad andare una domenica mattina per esempio, perché non bisogna avere fretta, a fare rifornimento in un distributore di metano o gas (la sigla è gpl) e rischiate di imbattervi in un’altra Italia, anche questa piena di contraddizioni, ma con un tasso di tranquillità più evidente. Non è facile dire se si tratti di serenità vera o rassegnazione, di sicuro l’atmosfera è molto diversa. Intanto chi arriva si mette in fila senza problemi perché fare il pieno (e con il gas si fa ancora il pieno) dura diversi minuti e non si può essere insofferenti. La sosta diventa quasi un appuntamento, in genere si scende dalla macchina e spesso ci scappano anche due parole. Si scopre così che gli italiani che vanno a gas ormai sono una comunità multiforme, molto distante dai luoghi comuni che la volevano relegata solo a commessi viaggiatori e maniaci del risparmio. Loro ci sono ancora naturalmente e si riconoscono dall’esperienza che hanno nel predisporre bocchettoni e prepararsi al lunghissimo rifornimento di serbatoi giganti nascosti nei bagagliai di improbabili berline. Ma si mette in fila anche la giovane madre, femminista da ragazza, con la vecchia Panda recuperata per ragioni di ecologia, la segue una 500 del 64, trasformata ed esibita come una piccola rivincita per chi voleva cancellarle tutte, quelle che andavano a benzina rossa. E poi, naturalmente, ci sono tutti quelli che non hanno potuto fare altrimenti, che non potevano permettersi un’automobile nuova, nonostante tutte le rottamazioni del mondo e gli eco-incentivi pubblicizzati ogni dove. È un’Italia in penombra ma per niente dimessa, che guarda gli spot alla tv dei nuovi modelli che sfrecciano tra deserti e cyber-spazi e poi, per fortuna, fa tutto il contrario. Capita che si passino il secchio e lo spazzolone per pulire il parabrezza, che si informino con calma su cosa sia meglio fare per aggiustarle e renderle meno inquinanti, queste quattro ruote, senza buttarle sempre e comunque, come tutti i megafoni invitano a fare.
Lo so che sono cose che non va bene dire, in un paese dove i partiti litigano su tutto ma non sul totem della crescita e dello sviluppo, sempre e comunque. Ma andate una domenica mattina con quelli che vanno a gas. Non sarà una soluzione ma un po’ fa pensare. (da DNews)
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