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mercoledì 19 marzo 2008

I silenzi di Napoli

Quello che colpisce di più è il silenzio, di Napoli. Lo so che non sono titolato, non sono nato lì e non ci vado da diversi anni, forse non è nemmeno questo il giornale giusto per dirlo, perché loro, i napoletani non possono averlo tra le mani e buttarlo via incazzati dopo aver letto ma lo ripeto, quello che colpisce di più è il silenzio. Non ci possiamo rassegnare soltanto alle parole della signora che esce di casa con il sacchetto in mano, incontra il microfono del tg e dice “non ce la facciamo più”, poi indica la montagna di spazzatura che si è formata fuori la porta e lì getta il sacchetto, il suo. Non ci possiamo rassegnare nemmeno ai tentativi del neo assessore al turismo della Regione che da qualche imprecisata fiera rassicura che tutto è a posto e si può andare in vacanza sul golfo. Non sono queste le parole che aspettavamo da Napoli, e non le vogliamo nemmeno dai politici, che speriamo tacciano per pudore. No, quello che colpisce, e spero di sbagliarmi, che qualcosa mi sia sfuggito, è il silenzio di quella città che abbiamo sempre considerato pezzo di corpo e anima del nostro paese. La Napoli degli scrittori, degli intellettuali, degli artisti, uso con sfrontata semplificazione queste parole, sta in silenzio, muta, di fronte a questo ennesimo andirivieni del degrado.
I rifiuti -mi raccontano- sanno benissimo come sparire miracolosamente dalle strade del centro e dei quartieri alti mentre invece si sistemano, si aggiustano in via definitiva nell’altra Napoli, quella che sconfina nell’indefinita provincia di sé stessa, azzannata ogni giorno da camorra e telegiornali che ripetono a tutti noi che non c’è niente da fare. E loro zitti. Non tutti per la verità. Il caso di Roberto Saviano e del suo best seller Gomorra sta lì, incastonato nella casella eccezione, che si è quasi trasformato in un marchio di fabbrica. I suoi interventi, con tanto di copyright, sembrano già dei classici, e quindi sorprendono meno. Poi ci sono quelli che sono andati via dalla voragine di bellezza e fango che impasta insieme questa città. Vecchia storia quella di abbandonare, dal “fujtevénne a Nàpule” urlato da Eduardo fino ai distacchi più dolorosi e meno ricordati come quello di Anna Maria Ortese che nel suo libro più bello e controverso il mare non bagna Napoli, ripubblicato da Adelphi, scriveva “E dopo? Dopo venne il tempo di partire. Partimmo (o morimmo?) a poco a poco tutti…il cortile era là, vuoto e muto. Tutti gli addii erano stai recitati”. La Ortese se ne andò in solitudine e in polemica proprio con gli intellettuali della città che non avevano gradito il ritratto di Napoli, al tempo stesso realista e visionario, che lei aveva dipinto nelle novelle di quel libro. Erano i primi anni 50 e da allora ancora oggi, a dieci anni dalla sua morte, il 9 marzo del 98, si fa fatica a squarciare il silenzio su quella che è considerata, più all’estero che da noi, una delle voci definitive della letteratura italiana del novecento. Forse per questo diventa ancora più prezioso un piccolo libro di Adelia Battista, Ortese segreta, uscito in questa stagione per minimum fax. Cento pagine che raccontano di un insperato carteggio tra la scrittrice e la giovane studiosa che si trasforma poi in amicizia delicata tra le due donne e che permette a noi di riconoscere il dolore dell’isolamento e del distacco vissuto dalla Ortese per quasi tutta la sua vita. “Con il mare non bagna Napoli volevo fare del bene alla mia città, perché mi sentivo parte di essa” racconta in uno degli incontri nel suo esilio ligure di Rapallo e in un biglietto indirizzato al professore della ragazza “chissà che un giorno non venga a Napoli, magari in compagnia di Adelia. Sarebbe un sogno.” A Napoli non riuscì più a tornare. Quante storie racconta il silenzio. (da DNews)