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lunedì 7 aprile 2008

Crescita zero o no?

Se le promesse sono promesse e se gli italiani ci credono la vedo dura per il palazzo Chigi. Il primo Consiglio dei Ministri si farà a Napoli e non mi muoverò da lì fino a quando non sarà di nuovo linda e pinta, dice Berlusconi. Il secondo Consiglio lo faremo a Malpensa, dice Maroni, e non stiamo qui a prevedere quando si muoveranno da lì, il tempo che ci serve. Confidiamo nel fatto che, dovesse vincere Veltroni, non fosse che per abitudine, una riunione a Roma ogni tanto la farà ma insomma il fine settimana politico, a meno di una settimana dal voto, se si esclude che si litiga su come sono fatte le schede e che Bossi vuole prendere i fucili, non ha brillato più di tanto. Invece la notizia c’era, non era fresca certo, non era nemmeno sicura ma è di quelle che la politica, soprattutto in campagna elettorale, fugge come la peste. È la storia della crescita zero. Badate non è storia di giornata, perchè da mesi ormai riecheggia nelle discussioni tra economisti, nei computer dei mercati finanziari e soprattutto nei portafogli di tutti, ma certo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale che danno il mondo in frenata, l’Europa di più, l’Italia praticamente ferma quest’anno, sono lì. Pessimistiche, dicono in coro banchieri e ministri europei, ma nessuno nega il rischio e anzi -aggiungono- il peggio deve ancora venire. Ora fin qui si sono usate per l’argomento parole comuni, come rischio, pessimismo, crisi, insomma quando si parla di crescita zero questo è il lessico, non si scappa. Provate invece a chiudere gli occhi un momento e a dire: crescere ma fino a che punto? Correre per andare dove? Azzardate ora: e se fermarsi un momento fosse utile anche a pensare la direzione migliore da prendere? Lo so che si rischiano più fischi dell’ultimo Ferrara a fare ragionamenti così e però ci si prova lo stesso, anche usando strumenti alla rinfusa, tutta roba reperibile durante il week end, nessuna primizia insomma, solo un libro, un film e qualche ricordo. La storia della crescita zero comincia con le pagine de “la paura e la speranza” scritto da Giulio Tremonti, si proprio lui, l’ex o il futuro Ministro dell’economia. Quelle dedicate alla paura sono illuminanti, feroci con il capitalismo di oggi, le sue degenerazioni in idolatria del mercato, con le superbanche universali e irresponsabili, con una società che ha generato il mostro del consumo totalizzante “come se l’universo fosse un supermercato, stiamo consumando il futuro dei nostri figli” e va sempre peggio “stiamo perdendo la speranza. Abbiamo i telefonini, ma non abbiamo più i bambini”. E se ci sono, sono bambini come Lara, la figlia della centralinista del call center nel bel film di Paolo Virzì “Tutta la vita davanti” abbandonata ore davanti alla tv aspettando che il cellulare vibri (la telefonata costa) per sapere se la mamma sta tornando. Il mega centralino di Virzì sembra la sala macchine della società mercatista lucidamente descritta da Tremonti che corre disperata verso il nulla. E qui che arrivano i ricordi. Vecchi di anni, nomi e ragionamenti come quello di Ignacio Ellacuria, gesuita, uno dei protagonisti della Teologia della Liberazione, un movimento che mise a soqquadro per un po’ il mondo cattolico, la Chiesa schierata apertamente dalla parte dei più deboli. Ellacuria parlava di “civilizzazione” della povertà, come risposta al fallimento della globalizzazione che non sarebbe riuscita a dare ricchezza a tutti. Scegliere cioè la sobrietà, non come impoverimento universale ma come stile di vita degli uomini e del mondo. Ellacuria fu assassinato nella sua università in Salvador, assieme ad altri cinque gesuiti professori. Era l’89, cadeva il muro di Berlino ma resistevano i generali sudamericani. Quasi vent’anni dopo siamo qui, con le carte rimescolate dalla storia ma con il mostro più vivo che mai. Crescere senza sapere perché. (da DNews)