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mercoledì 18 luglio 2007

Il suono del silenzio

Per spiegare il tema non trovo di meglio adesso che raccontare la storiella di un mio amico che si trovava all’imbrunire su una delle più popolari spiagge del nostro bel paese. Era lì con la sua fidanzata a guardare il tramonto. Roba di qualche minuto ancora e il sole sarebbe andato giù, come tutti i giorni, con quella regolarità e anche con quel po’ di suggestione che aiuta a fermarsi e pensare, ognuno ai fatti suoi. Il fatto però era che, accanto ai due, c’era un gruppo di connazionali che guardava si il tramonto ma non la smetteva di commentare l’evento, “ti ricordi quello delle Maldive?”, “non si può dimenticare quella volta il Perù”, “certo questo è bello ma hai mai visto quando illumina i grattacieli a New York?”, tutto così, esattamente per l’intera durata del tramonto, tanto che il mio amico alla fine disse, anche lui ad alta voce “ma voi… avete mai visto un tramonto in silenzio? È bellissimo”. Gelo finale e fine della storiella.
Resta il tema, del silenzio, del vuoto e del pieno, e della diversa idea del mondo che ne consegue, soprattutto in questi ineluttabili giorni definiti di vacanza, appunto. La divisione che immediatamente viene alla mente è quella tra chi sceglie i villaggi e chi cerca spiagge deserte ma in realtà il tema è davvero molto serio, è il nostro atteggiamento di fronte al tempo, incasellato, pianificato, riempito anche nei momenti che dovrebbero essere vuoti per definizione e, chissà, scintilla dell’imprevedibile. E invece il vuoto, e il silenzio che spesso lo definisce, viene esorcizzato, estromesso, come sintomo di tempo non utilizzato, quindi perso. Naturalmente e fortunatamente non è cosi. Non scomodiamo le meditazioni, le lezioni di filosofia orientale in versione pocket, basta farsi una bella passeggiata in montagna per capire quanto fa bene qualche volta stare soli e in silenzio.
E per questo che fa impressione l’ennesimo spot di questa guerra per conquistarsi clienti ai telefonini che più o meno offre per una cifra x la possibilità di diverse centinaia di minuti di conversazione al giorno, altrettanti messaggi da scrivere e inviare sempre in un giorno e per tutto un mese, quello della vacanza, appunto. D’accordo, volevano solo pubblicizzare una tariffa conveniente ma l’idea che un ragazzo, trasportato in un posto da un genitore che voleva fargli vedere uno squarcio di mondo, magari anche per farlo pensare un po’, magari da solo, si ritrovi invece attaccato per ore e ore al telefonino con un coetaneo che forse sta nello stesso posto, a qualche metro da lui, tutti e due a parlare senza nemmeno guardarsi in giro e capire dove sono e perché, ecco, fa venire in mente che il vero lusso è il silenzio, ricco chi lo cerca, lo trova e lo sa usare.

mercoledì 11 luglio 2007

I templi e la vergogna

Adesso siamo, come era prevedibile, al tempo delle riparazioni.
“I ragazzi saranno nostri ospiti” dice in tv il sindaco di Agrigento, “chiediamo scusa non succederà mai più” echeggia sulle agenzie stampa il presidente della regione Sicilia Cuffaro: insomma il caso bambini valle dei templi sembra ormai avviarsi ad una rapida archiviazione nello scaffale “malintesi burocratici”. Cosa era successo una settimana fa è presto detto, una classe scolastica di Palermo si reca in gita a vedere da vicino le meraviglie archeologiche della valle agrigentina, una volta arrivati sul posto gli accompagnatori chiedono l’ingresso gratuito per i bambini, come previsto da norma regionale che recepisce norma europea eccetera che dice: entrano senza pagare tutti i cittadini europei minori di 18 anni. Inopinatamente gli addetti alla biglietteria chiedono certificato di nazionalità, forse scrutando qua e là i volti dei piccoli, alcuni si dice scuri di pelle o dai lineamenti troppo mediterranei. La comitiva infatti, proviene da una scuola dove studiano molti figli di immigrati, ragazzi nati in Italia, ma che, come normalmente accade per i bambini, non hanno in tasca nessun documento che lo possa dimostrare. Risultato niente visita gratis per i ragazzi di Palermo. Ora, basterebbe solo immaginare il viaggio di ritorno nel pulmann di questi bambini, la difficoltà degli insegnanti a spiegare perchè qualcuno di loro poteva entrare senza pagare e qualcun altro no, per sotterrarsi dalla vergogna. Infatti è cominciato all’unisono il coro delle dichiarazioni ma tutte con un qualche distinguo: “esterrefatto” il sindaco di Palermo “questi bambini sono a tutti gli effetti cittadini italiani”, “un disguido burocratico ma la norma va rispettata” precisano i responsabili del parco archeologico, “cambieremo la norma” assicura il Presidente della Regione. Ecco, appunto, la norma. Ci perdoni la pedanteria, Presidente, ma ci proviamo. Dunque, la norma prevede: biglietti gratis per i cittadini europei sotto i 18 anni, lo spirito della norma si suppone sia: aiutiamo i giovani ad avvicinarsi alla storia e alla cultura, di cui i templi di Agrigento sono straordinaria testimonianza mondiale. Ora un comma della norma, quello che ha dato origine allo “spiacevole episodio”, è proprio quel “cittadini europei” che ha messo in difficoltà i bigliettai del parco di fronte a volti che, nel loro immaginario, ad andar bene erano stranieri, a pensar male peggio. Allora coraggio Presidente, riscriva così la norma “tutti i ragazzi del mondo possono venire a vedere la Valle dei Templi quando vogliono e senza pagare”. “Mondo”, Presidente, è una parola semplice, facile, grande e non si presta a malintesi burocratici di sorta. Lo faccia e saremo tutti contenti.

venerdì 6 luglio 2007

Leggere tra gli alberi

Forse preparavano la maturità le tre ragazze che ho incrociato in questi giorni sospesi tra partenze e ultime cose da sbrigare, in una Roma che sotto una luna stupefacente diventa teatro, arena, concerti o, almeno, cena sui balconi a rinfrescarsi. Le ho viste silenziose, chine su libri e quaderni, ripetere a mente o cercare con gli occhi su una pagina l’idea giusta per fare bella figura con i professori o anche solo per passare alla svelta il colloquio e filare via in vacanza. E ho pensato che l’idea giusta comunque l’avevano trovata perché erano lì, a studiare in un giardino di piccoli alberi di aranci, piantati in un cortile e circondati da libri e silenzio. Ci puoi capitare per caso o perché leggi i depliant dell’estate romana ma quando entri comunque ti si ferma un po’ il respiro, il passo rallenta e capisci che i minuti che rimarrai, saranno pochi saranno tanti, ti faranno stare bene. Non importa sapere a quale secolo appartiene il chiostro dell’ex convento ora trasformato in biblioteca, quello che ti serve è scegliere una delle sobrie poltrone in legno e tela e accomodarti. Puoi aver preso dallo scaffale un libro, scrittori del mondo che lo raccontano per te, oppure solo goderti il tempo che scorre mentre ti guardi attorno. E se decidi che vuoi vederla tutta, la biblioteca, ti bastano pochi passi lungo i corridoi e lì incrocerai lo sguardo, formato gigante, di qualcuno di loro, perché ti guardano i ritratti degli scrittori, magari sono passati di là, una di queste sere. Ma nulla ricambia il piacere di avvicinarsi alle finestre che circondano la meraviglia di quei piccoli alberi al centro di tutto, dei libri e dei lettori, perché puoi schiudere le vetrate e entrare. E allora il silenzio da ovattato diventa aperto, le poltrone spartane sedie da giardino e puoi leggere sotto un albero di arancio o studiare, all’ombra, come facevano le tre amiche degli esami. Le ho guardate meglio, ho visto che erano proprio come quelle di oggi, jeans a vita bassa, ciocche colorate. Ho pensato meno male che ci sono posti come questo dove i ragazzi possono stare, se vogliono. Mi sono tornate in mente le polemiche sulle tasse e su province e comuni che spendono tanto e male i nostri soldi. Avrei voluto portarli qui, gli italiani che dicono meno Stato, più mercato, avremmo potuto discutere sommessamente che qualcosa da salvare c’è, della spesa pubblica. Magari un giardino di aranci nel cuore di Roma, e chissà quanti altri ce ne sono in Italia, dove se entri per caso ti rallegri per i ragazzi di oggi e ti riconcili con il tempo che passa. Quando esci scopri che si chiama la Casa delle letterature e sta in piazza dell’orologio. Come una favola.