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mercoledì 17 ottobre 2007

Le Primarie che verranno, se verranno

Avranno già sistemato i piccoli paraventi di cartone nel ripostiglio, buttati no, che non si sa mai. Avranno riposto con cura nei cassetti i registri e le liste di chi ha partecipato e riorganizzato la sala per vedere la prossima partita. Sui muri le liste dei candidati erano affisse tra il poster di Totti e il calendario del campionato, che si faceva fatica a trovarli ma solo per chi aveva fretta e domenica nessuno aveva fretta. È la seconda volta che vedo votare in un circolo di tifosi di calcio e spero che non sia l’ultima. Perché anche questa cosa dei luoghi dove sono andati, o meglio tornati, i tre milioni e passa di italiani delle primarie ha un suo piccolo senso. Certo, sezioni di partiti ma anche librerie, ristoranti, tende, club dei generi più vari, aperti tutti i giorni della vita e anche quella domenica lì. Posti dove le persone si incontrano e dove, prudenti, tranquille, senza rulli e tamburi hanno dato, per la seconda volta, un segnale a tutta la politica e indicato una strada, una possibile via d’uscita, forse addirittura un metodo. In fondo gli italiani delle primarie hanno inventato un soggetto nuovo, a metà strada tra il vecchio militante, il funzionario, il consigliere, l’assessore, insomma i professionisti della materia e l’elettore classico, chiamato al voto tra opinioni sempre meno ragionate e interessi sempre più indefinibili, nel rombo di campagne politiche o amministrative da finta e immobile ultima spiaggia. A ben vedere, le primarie dimostrano invece che non è un’utopia invitare milioni di persone a scegliere, oggi un segretario, domani chissà. “Aspettatevi decisioni che vi sorprenderanno, aspettatevi discontinuità” frasi ripetute dopo il trionfo, dal duo di testa Walter e Dario. E allora proviamo l’azzardo, diciamo l’indicibile, che le primarie diventino uno strumento costitutivo del partito nuovo e della buona politica, che i tre milioni siano chiamati tutte le volte che su una questione importante il nuovo partito non riesca a trovare la strada. È vero, i Democratici scommettono sulla sintesi tra le culture, le identità, le provenienze, avranno le loro assemblee, i loro dirigenti, le loro discussioni. Ma dovesse succedere che su una scelta importante la nave si incagliasse su vecchi scogli, non sarebbe male ricordarsi che dietro, silenziosi ma testardi ci sono quei tre milioni che se invitati pacatamente hanno risposto, “eccoci”. Basterebbe chiamarli a scegliere per decidere, a maggioranza, la via maestra della democrazia. “Rispondo a quei tre milioni” altra frase di Veltroni nella notte del trionfo. Ecco, appunto, a quelli del club della Roma, a Monteverde vecchio, tenete sempre pronti i paraventi di cartone, se ci fosse bisogno.

giovedì 11 ottobre 2007

Italiani a New York

Sarà stata la visione di Mastella con lo sfondo dei grattacieli, lunedì sera a Porta a Porta, o quello che diceva riferendosi alla sfilata per il Columbus Day, “qui mi conoscono in tanti”. Fatto sta che ci è tornato in mente l’archivio storico del New York Times e la benemerita decisone di renderlo totalmente free. Tutti gli articoli del prestigioso quotidiano accessibili, dal 1981 ad oggi, basta cercare. Si può scavare come in una miniera o anche giocare e vedere l’effetto che fa. Scegliamo di giocare e digitiamo i nomi di quattro uomini politici italiani, diciamo tra quelli che più riempiono le pagine dei nostri giornali, tipo Prodi e Berlusconi, Fini e Veltroni. Vogliamo vedere quando è stata l’ultima volta che il NYT si è occupato di loro e a che proposito. Cominciamo dal capo del governo in carica, l’ultima citazione per Romano Prodi è dell’8 ottobre, riguarda gli incontri avvenuti in Kazakhstan per il giacimento sotto il mar Caspio, l’Eni rischia di essere tagliata fuori, Prodi incontra il presidente Nazarbayev e forse qualcosa ottiene visto che il NYT titola così “il leader kazaco attenua la tensione sul progetto petrolio”. Più o meno un capo di governo che prova a fare il suo lavoro, un po’ grigio, un po’ concreto, insomma Prodi. Veniamo agli altri. Preparatevi. L’ultima traccia del Cavaliere risale al 27 settembre e arriva da fonte imprevedibile, “la nostra esperienza multietnica è nata dopo il governo Berlusconi e la sua legge anti immigrazione”. A parlare è il direttore dell’orchestra di Piazza Vittorio, Mario Tronco, intervistato dal NYT all’indomani dell’impensabile trionfale concerto al Teatro dell’Opera. Quando si dice l’ironia. Digitiamo “Fini”, si torna molto più indietro, l’ultima volta che il NYT ha scritto il suo nome è stata l’estate di un anno fa, il 25 giugno 2006, a proposito delle disavventure del suo portavoce “Mr. Sottile, who works for Gianfranco Fini”, in un lungo articolo che riassumeva la storia delle intercettazioni telefoniche e derivati, poi, fino ad oggi, nient’altro. È la volta di Veltroni, il politico americano per eccellenza, andiamo sul sicuro. Clic. “A Roma, un nuovo rituale su un vecchio ponte”, 6 agosto scorso, l’ultima citazione per il sindaco di Roma riguarda i lucchetti dell’amore di ponte Milvio. Però, questi americani. Non abbiamo giocato con il nome del Ministro della Giustizia che di questi tempi sembra brutto ma abbiamo fatto un ultimo tentativo, abbiamo scritto “italian”, cerchiamo l’ultimo italiano segnalato, è venuto fuori Claudio Magris, “the italian novelist”, dato come favorito al Nobel per la Letteratura. Siamo qui, con il suo “Infinito viaggiare” tra le mani, a incrociare le dita.

p.s. Poi ha vinto Doris Lessing.

mercoledì 3 ottobre 2007

Voti d'autunno

Ottobre tempo di votazioni, in Italia. Ce ne sono di tutti i generi, come i film. E come le pellicole ci sono quelle che ti emozioni, quelle da seguire con attenzione, quelle che aspetti il colpo di scena, quelle che non hai capito il retroscena, quelle che vorresti uscire dal cinema prima del tempo. E come a un festival le storie si accavallano e i più bravi, tra critici e spettatori, cercano sempre di trovare un filo comune, un’atmosfera, uno spirito dei tempi che le tenga tutte assieme. Qualche volta riesce, molto più spesso no e allora meglio fare un elenco, con impressioni a margine. Cominciamo dalla votazione autunnale per eccellenza, quella della legge Finanziaria. Film tragicomico per definizione, questa volta con venature accentuate di thriller per via dei numeri, in programma da oggi sullo schermo del Senato. In genere, ogni anno, con qualunque governo, a proiezione finita e sala chiusa cominciano i commenti del tipo, mai più una votazione così, il meccanismo va riformato, non si può votare a scatola chiusa una legge così importante. Quest’anno, previdente, il Presidente della Repubblica ha giocato d’anticipo e queste cose le ha dette prima. Servirà a qualcosa? Facile rispondere, no. Anzi tutti si preparano a recitare il copione con la scena della corda tirata fino al limite e la battuta che, se si spezza, la colpa è sempre di quell’altro. Cambiamo sala, dal Senato a Mirafiori, qui, se permettete, il film è diverso. Si discute, come si farà in centinaia di fabbriche, se l’accordo fatto con il governo sul cosiddetto “welfare” cioè quello che lo Stato può e deve fare per aiutare i più deboli a tenersi in carreggiata sia da accettare o no. I toni sono aspri, gli operai si dividono su chi è deluso e chi dice è solo un passo ma nella direzione giusta. Ci sono anche paradossi di antica eleganza come il segretario dei metalmeccanici Fiom Rinaldini, contrario all’accordo che ha l’incarico di illustrarlo obiettivamente, l’accordo, nella relazione introduttiva all’assemblea. Ma il film è diverso soprattutto per il finale, perché quando si voterà, la maggioranza, alla fine, sarà la posizione di tutti i lavoratori, anche di quelli che, con passione, hanno perso la partita. Comunque vada, sarà una lezione per tutti, anche per quelli del film più atteso della stagione, le primarie del PD. I preparativi della megaproduzione hanno finora ottenuto qualche esito deprimente (pensate a Mussi, poi a Dini, Bordon, Angius e alle loro pattuglie vaganti) e sono stati almeno farraginosi per lo spettatore/votante comune. Qualcuno dovrà spiegargli, per esempio, perché ci sono tre liste tre che sostengono Veltroni e qual’è la differenza. Che almeno il giorno del voto ci sia il sole, come due anni fa.