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venerdì 23 dicembre 2011

Ad occhi sgranati nel circo di Twitter


Ormai é quasi un anno e forse ci si può fermare per accennare a qualcosa che rassomigli a un pensiero. É anche tempo di Natale e forse ci si può concedere qualche errore da prima impressione ché siamo tutti più disposti al perdono. Così azzardiamo riflessione, parola grossa, sul modo italiano di invadere twitter, in particolare su quella impaurita frenesia di noi giornalisti di salire sul treno all'ultimo minuto, di scegliere il vagone giusto, di prenotarsi reciprocamente i posti e di chiudere le porte a quelli che stanno ancora cercando il binario. Per capirci l'era twitter della stampa italiana é cominciata quest'anno. Prima del 2011 c'erano i nativi, ragazzi e ragazze che nella pigra indifferenza dei media tradizionali, già cinguettavano seriamente e allegramente con il mondo, scovando reporter di strada e analisti di geopolitica che usavano #hashtag e 140 battute, costruendosi una fluida, viva, cangiante, e forse per questo a volte precipitosa, visione del mondo alternativa. Sento già il ronzio di chi tra i giornalisti storici obietta (tra sé e sé per carità) no guarda, io c'ero già: onore al merito delle mosche bianche ma erano bianche, appunto.
Il problema invece é nato quando una prima pattuglia di penne old fashion ha preso il trenino e si é guardata intorno. Finalmente facce nuove, si saranno detti, ma solo per un poco perché poi il vecchio vizio di spalleggiarsi l'uno l'altro, di fare comunella, di seguirsi con quella sottile perfidia di essere sempre attenti allo spread (che deve restare alto, altissimo) tra seguiti e seguaci ha preso il sopravvento. Allora il vecchio circo con tutti i suoi numeri, i suoi personaggi si é ricostruito. Ci sono i direttori dei grandi giornali che aprono il dibattito, ci sono i direttori che provocano più dibattito dei loro piccoli giornali, ci sono direttori senza più giornali che contano i seguaci, ci sono editorialisti più innamorati del loro tweet che del loro editoriale, ci sono reporter mitraglia da 200 tweet al giorno che poi nessuno legge più i pezzi, ci sono gli specialisti del retweet per far capire che nulla sfugge. Insomma la pattuglia si adatta, si conforma, si specializza, si arrangia, che il mestiere non gli manca. Naturalmente ci sono anche i tantissimi bravi e buoni, sennò che post di Natale sarebbe, quelli che davvero guardano con occhi sgranati la meraviglia, questa possibilità di intercettare e dialogare col mondo che fino a ieri era fantascienza. Ed é un po' la stessa differenza che ho sempre ritrovato tra gli inviati di guerra, quella tra chi, veterano o no, era capace ancora di stupore e chi invece si faceva scudo di aver visto già tutto. Così succede adesso tra i giornalisti esploratori nella meravigliosa jungla di twitter.
E nell'esplorazione si usano vecchi trucchi rimodernati, che un cool touch é d'obbligo in questi casi. Per esempio quello di circondare di complimenti alcuni dei nativi che davvero hanno fatto un gran lavoro (penso alla primavera araba e ai movimenti di #occupy) di contatti, selezione, ricerche, condivisione. Anch'io, giornalista della specie più stigmatizzata, quella dei tg per di più Rai, ho fatto così ma mi sono sempre presentato "ciao sono @angfigo un vecchio reporter di un vecchio tg". E buon Natale.

mercoledì 23 novembre 2011

Anna P. all'epoca di Twitter


Questo pomeriggio, mentre continuano gli scontri attorno a piazza Tahrir e noi, tweet dopo tweet, quasi ne sentiamo il respiro, mi sono ritrovato in una piccola libreria romana a parlare con amici, davanti a un caffè, di Anna Politkowskaja. Gli amici venivano a dirmi di una piccola casa editrice abruzzese (Carlo Spera editore) che sta per pubblicare un libro di Anna, inedito in Italia, i suoi primi scritti sulla Cecenia. E così é venuto spontaneo ripensare al suo modo torrenziale di scrivere, pagine e pagine minuziose di storie e denunce; in appendice al libro sua figlia Vera racconta che Anna scriveva sempre, dovunque lei bambina sentiva il ticchettare della tastiera del computer, anche nella casa di campagna quando si fermavano qualche volta per i fine settimana "tutt'intorno la natura, i boschi e lei in casa a scrivere sul computer.." . il risultato oggi sono i suoi articoli, centinaia, i suoi libri, migliaia di pagine, ricostruzioni, testimonianze, documentazione di quell'unico grande orrore che é stata non solo la guerra di Cecenia ma il tragico affresco della nuova Russia di Putin autoritaria e repressiva eppure alleata di noi Occidente. E però accanto al suo lavoro c'é sempre stato anche, impietoso e codardo, un velo denso di silenzio, reticenze dei giornalisti ufficiali mescolate alle calunnie del regime seminate ad arte, che giorno dopo giorno hanno costruito attorno a lei l'isolamento che alla fine le é stato fatale. Così oggi, il tempo di un caffè in libreria, ci siamo ritrovati a pensare a cosa sarebbe stata la storia di Anna all'epoca di Twitter. Cosa sarebbero stati il suo lavoro, le sue denunce, le sue storie e infine il suo rimanere sola. Forse sarebbe andata diversamente, forse no. Mi piace però immaginare l'onda del cinguettio da Grozny di una come lei. Comunque non avremmo potuto mai dire che non sapevamo.

lunedì 14 novembre 2011

I tre discorsi



Non ci fermiamo mai, tra twitter e spread, tutti siamo lì a fare click e spesso la velocità non aiuta a capire, a volte nemmeno a vedere. Eppure ieri sera abbiamo avuto un primo illuminante esempio del possibile passaggio. Tre discorsi, poco prima di cena, tre italiani hanno parlato, hanno detto cose importanti e drammatiche ma ci hanno anche raccontato di loro e della loro visione del mondo. Uno si è rinchiuso in una stanza e ha fissato la telecamera come una old star che rassicura i suoi fans, il secondo, sguardo gentile ma spesso lontano, ha scandito parole chiare come un professore chiamato in extremis ad aiutarci prima degli esami, il terzo, un padre allarmato ed energico ci ha guardato negli occhi come a dire, ci sono qua io, vi proteggo ma dovete essere voi a cambiare a fare la vostra parte. Ognuno ha detto cose che si possono condividere o no, ma il modo ha detto di più. Non sappiamo dove ci porteranno queste ore convulse ma già il fatto che non ci sia più solo la vecchia star, ma anche un professore e un padre soprattutto, rimette un poco le cose a posto. Forse.



giovedì 3 novembre 2011

Atene, il bluff (riuscito) del referendum



E' durato quarantotto ore il referendum della Grecia, l'azzardo di Papandreou che ha fatto tremare i polsi ai mercati e sbigottito l'Europa messa di fronte al fantasma di una scelta non prevista che poteva travolgere tutto. "Deciderà il popolo greco se accettare o no l'accordo sui sacrifici in cambio degli aiuti per evitare la bancarotta" annuncia due giorni fa il premier greco senza nemmeno avvisare i suoi ministri, facile dire un colpo di teatro tragico visto il paese. Si presenta a Cannes convocato da Francia e Germania che chiedono bruscamente spiegazioni e intanto bloccano l'ultima rata degli aiuti. Torna ad Atene e si ritrova due suoi ministri che si dissociano dall'azzardo. Allora minaccia le dimissioni, poi le smentisce, va in parlamento e dichiara "se passa l'accordo il referendum non serve e l'accordo deve passare -dice all'opposizione- anche con i vostri voti perchè non abbiamo alternative".
Così il referendum greco in realta è stato un bluff, ultima mossa di un premier sempre piu solo, con una maggioranza che perde pezzi e un paese stanco, sfibrato dalla micidiale cura da cavallo che deve accettare tra rabbia e rassegnazione. Domani il parlamento vota l'accordo e la fiducia al suo governo. Può succedere che cada proprio lui, l'uomo dell'azzardo, e si apra la strada ad un governo di unità nazionale che alla fine però dovrà ratificare l'accordo, esattamente quello che voleva Papandreou con il bluff del suo referendum impossibile. (dal Tg2 20,30)

lunedì 24 ottobre 2011

Vecchi appunti (2006) di elogio su Jacona (che sottoscrivo anche oggi)









A proposito della capacità di raccontare di Riccardo Jacona. Ieri il primo dei suoi tre documentari sull’Italia, titolo “case!” poi arriveranno gli altri dedicati a ospedali e tribunali, sempre con il punto esclamativo. Intanto da segnalare il meccanismo di produzione che ribalta la logica delle news e segue contemporaneamente tre plot ma per diversi mesi. Ottiene cosi un doppio risultato, quello di seguire ogni singola storia in un arco temporale lungo, dando spessore e profondità alla dinamica narrativa e di realizzare contemporaneamente tre prodotti facendo economie di scala non indifferenti. Naturalmente in primo piano resta la straordinaria capacità di drammatizzare che fa di Jacona uno dei pochi documentaristi d’autore oggi in circolazione. Talmente riconoscibile e personale il suo stile che non è immaginabile la sua riproduzione come standard e questo forse è il vero limite. Non di Jacona che anzi si gode questa ottima nicchia del mercato quanto perché sarebbe difficile e al fondo indigeribile l’eventuale clonazione della sua esperienza. A volerla fotografare quella che colpisce è l’assoluta programmatica estraneità alla risoluzione dei problemi, quello che interessa J. è l’analisi quasi autoptica, spietata della realtà semmai con una sorta di compiacimento per la contraddizione, in particolare per quella irrisolvibile. È chiaro che in più aggiunge una scrittura schierata emotivamente, assolutamente refrattaria ad ogni ipotesi di governo della realtà, semmai orientata a una televisiva istigazione alla ribellione. Bravo.

lunedì 19 settembre 2011

Elogio del bagno 32

Adesso che la stagione è finita posso dire il nome, piuttosto anonimo peraltro, di quella che considero una piccola metafora dell'Italia che vorrei. Siamo sulla costa laziale, quella di fronte a Roma per la precisione, quella del mare che azzurro proprio non è per definizione, quella de 'na birra e 'n calippo per capirci, quella dei teli bianchi e dei divani al tramonto e degli abusivi che si disegnano da soli per terra il parcheggio riservato, quella che sembra senza speranza insomma, e invece. Ecco il bagno 32, un quadrato di spiaggia libera che a dispetto di un nome burocratico e tristemente evocativo, rassomiglia al sogno di una Italia sobria, silenziosa, sorridente, dunque impossibile. Provo a spiegare. Intanto quando arrivi si vede il mare, non ci sono muri, ingressi, neon, verande che nascondono sale da banchetti nunziali no, tu quando arrivi col tuo ombrellone a tracolla, vedi il mare. E se invece hai solo l'asciugamano c'è un grazioso chiosco in legno dove puoi affitare il necessario se vuoi, non devi, anzi gli ombrelloni del chiosco possono essere piantati solo fino ad un certo punto, non proprio davanti al mare perche lì, appunto, lo spazio è libero, di tutti. Poi ci sono i tavolini davanti al chiosco, che ti siedi a piedi nudi sulla sabbia pulita e fresca. Che idea geniale, niente pedane nè pavimenti, ti siedi a mangiare con i piedi nudi nella sabbia. Sembra facile ma non è così, è un'idea che si regge su un patto, mi siedo perche mi fido, sono certo che nella sabbia non ci sono cartacce, sigarette, lattine o qualunque cosa possa mettermi a disagio. E se arrivi di mattina presto hai la conferma, capisci che questa spiaggia libera è curata, pulita ogni giorno come fosse il giardino di casa. E invece è di tutti, gratuita, ha i bagni lindi e le docce funzionanti. E non ditemi che sono banale, che di cose cosi se ne vedono dovunque perchè sapete di mentire, sapete che il guaio di questo paese è prioprio questo, le cose pubbliche sono considerate cose di nessuno non cose di tutti. E potrei aggiungere che il cerchio magico prevede spiaggia pulita di tutti e tutti che cercano di non sporcare e cosi via in tondo, per i rumori e per il modo di comportanzi. Per questo il mio elogio al bagno 32 non è solo il complimento a Stefano, Gianluca, Carolina, Roberto, Assunta e tutti gli altri ragazzi perchè fanno bene il loro lavoro e sono gentili e scherzano sempre e fanno sempre lo scontrino fiscale; ma perchè aiutano a immaginare una via d'uscita possibile. Non c'è solo l'italia che adesso prende la palla al balzo dell'aumento dell'iva per arrotondare i prezzi di fatture che poi non si sogna di rilasciare, c'è anche un paese che si diverte e sta bene con chi fa bene il proprio lavoro, che guadagna il giusto curando e valorizzando le cose di tutti, il famoso bene comune.
Non è un caso che su quei tavolini ho visto sedersi tranquilli venditori ambulanti e magistrati famosi, alla ricerca di un po' d'ombra per riposarsi davvero e con i piedi nella sabbia pulita.

mercoledì 15 giugno 2011

Non é questione di tasse



Parlano di riforma fiscale e di aliquote come se da questo dipendesse la vita o la morte del governo. Non hanno capito che il vento ha sussurato altro: quest'Italia non vuole pagare meno, vuole un paese diverso.

giovedì 26 maggio 2011

Ci é e ci fa



Il siparietto con Obama sulla dittatura dei giudici di sinistra
finalmente risolve il problema.




Semplificazioni

Provo a scrivere senza post-it o cartoline postali. Lo faccio per ragioni pratiche e perché il tempo passa e qualcosa deve pur cambiare.

sabato 5 febbraio 2011

Esercizi di stile



Quello che segue é l'inizio del reportage del corrispondente della CNN ad Alessandria in Egitto passato al traduttore di Google. Sembra Don DeLillo.

feb 5, 2011 - Aggiornato 0.958 GMT (1758 HKT) Dietro le quinte: Caos in Alessandria da Nic Robertson, CNN Senior International Correspondent Alessandria d'Egitto (CNN) - La più lunga passeggiata è quando non sai dove andrà a finire . La più lunga minuto quando si è preoccupato per quello che sta arrivando. Ad Alessandria, entrambi sono a portata di mano. Duecento metri, che è tutto ciò che ci separava da migliaia di manifestanti cantando. Erano stati in marcia per tutto il pomeriggio ad ascoltare le chiamate di solidarietà. Ora era notte, la pioggia cadeva e sbandati uscivano verso di noi. Mentre camminavamo verso di loro, al buio, a bocca aperta, sidestreets cavernosi sono stati stillicidio minaccioso, armati di bastone-uomini. linee elettriche improvvisate afflosciò tra i condomini di invecchiamento. Il nostro piano era arrivare alla folla, raccontano la storia e uscire, la nostra piccola telecamera nascosta alla vista. In primo luogo ci stavano chiamando, quindi afferrare, chiedendo passaporti. Gli uomini con le bacchette ci stavano sciamando. Litigare tra di loro. Gli uomini di scorta noi ci dicevano di stare tranquilli di non preoccuparsi. La rabbia è in aumento. I nostri passaporti sono stati prelevati, controllati e riconsegnato. In quel momento che la confusione ha cominciato. Chi eravamo, perché erano lì. Stranieri. Nei giorni scorsi, i media di stato ha sollevato paranoia a passo di febbre. (...) Siamo stati guidati sulle strade buie posti di blocco presidiati passato in parte dai ragazzi di calcio-playing, in parte da soldati e in parte da quello che sembrava lo stesso bastone che brandisce, predoni uomini affollano intorno a noi. Altri di loro sono stati chiusura in ora. Il piccolo branco intorno a noi era gonfiore e ribollente. Ognuno che passa è stato redatto al dramma che stava diventando la nostra inquisizione. Tutti volevano la parola, tutti cercano di mettersi in gioco, di schierarsi, prendere in carico, prendere una decisione...

ps. Così, tanto per ricominciare quest’anno, almeno con un post.