
Alla fine oggi lo Stato americano ha detto no alle targhe auto "cristiane".

Suggerimento tempestivo di Antonio, mentre pensavo ai tassisti romani.





Mentre continua l’asta tra chi promette più sicurezza in vista del ballottaggio romano, io darei un cent per essere invece, in questi giorni, nei corridoi di Montecitorio o di palazzo Madama. Vorrei vedere chi fa gli scatoloni, vorrei seguirli per vedere dove li portano. Mi immagino i silenzi, gli sguardi, le pacche sulle spalle, i saluti mentre il rumore del nastro adesivo risuona nel palazzo ancora deserto. Ormai è una settimana che tutti, veterani o arruolati dell’ultima ora, si fanno domande e si danno risposte su quello che è stato. Non ci permettiamo di aggiungere nulla se non un dettaglio che ci ha colpito in questi giorni di autoanalisi collettiva via giornali e televisione. Un dettaglio nascosto nella catena di interviste a volti e nomi che ci erano comunque divenuti familiari, comunisti italiani, rifondazione, verdi, socialisti e rose nel pugno, sinistra democratica e arcobaleno, e poi anche le signore e i signori della destra e delle altre sigle dell’ultimo mese. Tutti attorno a loro, a chiedere perché, che cosa non avevano previsto, che cosa non avevamo capito. Faceva quasi tenerezza sentirli dire “ricominceremo” ma la cosa più singolare, il dettaglio appunto, era il senso di partecipazione che mostravano, anche senza volere, i cronisti che sapevano in cuor loro che quella sarebbe stata l’ultima volta. Già, l’ultima volta, ma per tutti. Non ci saranno più dichiarazioni da registrare, non ci saranno più telefonate da ricevere, non più decine di uffici stampa da chiamare, portavoce da sollecitare. Se la rivoluzione elettorale ha spazzato via due decine di gruppi parlamentari anche il mondo dell’informazione politica non potrà fare finta di niente. Ci sarà pure un po’ di sollievo in quelle redazioni, nei telegiornali ma non solo, dove da sempre gli equilibrismi per dare visibilità a tutti i rappresentanti del parlamento contribuivano a stressare oltremodo capi e redattori, ma col passare dei giorni si dovrà pur pensare a qualcosa da fare. Non si potrà più riempire la pagina o i minuti con la guerra delle parole tra questo, quello e quell’altro ancora, attenti solo a che non manchi nessuno, perché tra le cose chiare dette dal voto ce n’è sicuramente una: d’ora in poi quelli titolati a parlare, secondo la vecchia logica delle dichiarazioni contrapposte, si riducono, al massimo, a quattro o cinque. Chissà allora che non sia questa la volta buona per farsi qualche domanda su come la raccontiamo, la politica, su quello che noi giornalisti abbiamo capito di quest’Italia che ci cambiava sotto gli occhi mentre eravamo impegnati a raccogliere parole di partiti che poi sarebbero scomparsi o ripetere all’infinito quelle dei vincitori o dei loro concorrenti. Chissà che non si decida per esempio che i cronisti politici d’ora in poi, anziché restare chiusi nelle sale stampa aspettando la frase da non perdere, vadano loro a scoprire che ci sono gli operai che votano Lega, a perlustrare gli umori delle periferie dove italiani impauriti combattono contro stranieri disperati, a capire se e dove si accendono le spie del malessere e della voglia di protezione che questo paese ha segnalato con il voto. Qualcuno ci sta provando in questi giorni, fioriscono inchieste lampo sulla Padania, è tutto un incitare, torniamo in strada, andiamo sul territorio ma temo che non durerà.
Montezemolo, prima di uscire, attacca violentemente i sindacati. Contentissima la Marcegaglia, appena entrata.
Berlusconi apre all'Aeroflot. Ve lo dico subito, basta, non si può andare avanti cosi. Mi finiscono i post-it.
Gaza. Fadel Shana, 23 anni, operatore della Reuters, riprende il colpo che lo ucciderà. Sparato da un carro armato israeliano.



Bruce appoggia Obama con una lettera firmata in prima pagina sul suo sito. Bello, soprattutto il sito.
Dipende da quando leggerete, più o meno mancheranno poche ore all’inizio dello scrutinio. Potrete scegliere tra decine di maratone elettorali, studi tv illuminati a festa o forum via internet, ospiti eccentrici o tradizionali, insomma ce ne sarà per tutti i gusti, elezioni minuto per minuto, ma solo a partire da dopopranzo, dalle tre in poi. Fino ad allora che fare? Come smaltire l’ansia dell’attesa? Potete fare l’ultimo tentativo con quell’amico che stavolta vacilla e non va votare oppure staccare telefoni, computer e uscire, anche solo per un po’ d’aria. In questo caso ci sarà una sosta al vostro bar preferito, prenderete questo giornale ed ecco che vi ritrovate qui, a leggere la storia del seggio numero 85, l’ultimo scrutinio che ho visto.
Se le promesse sono promesse e se gli italiani ci credono la vedo dura per il palazzo Chigi. Il primo Consiglio dei Ministri si farà a Napoli e non mi muoverò da lì fino a quando non sarà di nuovo linda e pinta, dice Berlusconi. Il secondo Consiglio lo faremo a Malpensa, dice Maroni, e non stiamo qui a prevedere quando si muoveranno da lì, il tempo che ci serve. Confidiamo nel fatto che, dovesse vincere Veltroni, non fosse che per abitudine, una riunione a Roma ogni tanto la farà ma insomma il fine settimana politico, a meno di una settimana dal voto, se si esclude che si litiga su come sono fatte le schede e che Bossi vuole prendere i fucili, non ha brillato più di tanto. Invece la notizia c’era, non era fresca certo, non era nemmeno sicura ma è di quelle che la politica, soprattutto in campagna elettorale, fugge come la peste. È la storia della crescita zero. Badate non è storia di giornata, perchè da mesi ormai riecheggia nelle discussioni tra economisti, nei computer dei mercati finanziari e soprattutto nei portafogli di tutti, ma certo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale che danno il mondo in frenata, l’Europa di più, l’Italia praticamente ferma quest’anno, sono lì. Pessimistiche, dicono in coro banchieri e ministri europei, ma nessuno nega il rischio e anzi -aggiungono- il peggio deve ancora venire. Ora fin qui si sono usate per l’argomento parole comuni, come rischio, pessimismo, crisi, insomma quando si parla di crescita zero questo è il lessico, non si scappa. Provate invece a chiudere gli occhi un momento e a dire: crescere ma fino a che punto? Correre per andare dove? Azzardate ora: e se fermarsi un momento fosse utile anche a pensare la direzione migliore da prendere? Lo so che si rischiano più fischi dell’ultimo Ferrara a fare ragionamenti così e però ci si prova lo stesso, anche usando strumenti alla rinfusa, tutta roba reperibile durante il week end, nessuna primizia insomma, solo un libro, un film e qualche ricordo. La storia della crescita zero comincia con le pagine de “la paura e la speranza” scritto da Giulio Tremonti, si proprio lui, l’ex o il futuro Ministro dell’economia. Quelle dedicate alla paura sono illuminanti, feroci con il capitalismo di oggi, le sue degenerazioni in idolatria del mercato, con le superbanche universali e irresponsabili, con una società che ha generato il mostro del consumo totalizzante “come se l’universo fosse un supermercato, stiamo consumando il futuro dei nostri figli” e va sempre peggio “stiamo perdendo la speranza. Abbiamo i telefonini, ma non abbiamo più i bambini”. E se ci sono, sono bambini come Lara, la figlia della centralinista del call center nel bel film di Paolo Virzì “Tutta la vita davanti” abbandonata ore davanti alla tv aspettando che il cellulare vibri (la telefonata costa) per sapere se la mamma sta tornando. Il mega centralino di Virzì sembra la sala macchine della società mercatista lucidamente descritta da Tremonti che corre disperata verso il nulla. E qui che arrivano i ricordi. Vecchi di anni, nomi e ragionamenti come quello di Ignacio Ellacuria, gesuita, uno dei protagonisti della Teologia della Liberazione, un movimento che mise a soqquadro per un po’ il mondo cattolico, la Chiesa schierata apertamente dalla parte dei più deboli. Ellacuria parlava di “civilizzazione” della povertà, come risposta al fallimento della globalizzazione che non sarebbe riuscita a dare ricchezza a tutti. Scegliere cioè la sobrietà, non come impoverimento universale ma come stile di vita degli uomini e del mondo. Ellacuria fu assassinato nella sua università in Salvador, assieme ad altri cinque gesuiti professori. Era l’89, cadeva il muro di Berlino ma resistevano i generali sudamericani. Quasi vent’anni dopo siamo qui, con le carte rimescolate dalla storia ma con il mostro più vivo che mai. Crescere senza sapere perché. (da DNews)