La sera di venerdì mi chiama il capo per andare a Parigi ma non potevo. Cose normali, riposo programmato e piccoli impegni ma importanti, per me. Avrei dovuto rinunciare, siamo in guerra, ma ho deciso di no ed è andata così. I colleghi del mio giornale stanno facendo un gran lavoro, i giornalisti di tutta la Rai lo stesso e io li ho guardati in televisione, ho sfogliato i quotidiani, ho letto i tweet, ho ascoltato i talk show, ho fissato gli occhi sui titoli cubitali che più grandi non si può. Parole definitive che per lo più dicevano, ora basta servono i fatti, bisogna agire, così non si può andare avanti, non vinceranno. Io ero in campagna intanto e la vita passava, protetta dal velo della distanza e del caso. Il racconto di Parigi invece scorreva su binari che purtroppo tutti potevamo intuire, l'ansia e la paura delle prime ore, il silenzio sbigottito di quelle successive, la mattina dopo col dolore, i fiori, le lacrime e le dichiarazioni d'impegno, non ci cambieranno, continueremo a fare le cose che abbiamo sempre fatto, difendiamo la libertà di essere normali. Poi le storie, le foto, i sorrisi spezzati di chi non c'è più e le manifestazioni commoventi nella loro gigantesca sobrietà, Parigi ci ha già confortato così a gennaio dopo Charlie Hebdo. E i vertici, i comunicati congiunti, non saranno uguali agli altri giurano, sperando di non mentire a sè stessi. Dio ci scampi dalle decisioni prese sull'onda dell'emozione e della rabbia ma anche dal momento in cui, lentamente ma inesorabilmente, torneremo ad altro. Fino al prossimo orrore. E qui sta la cosa che volevo dire. Certo non vinceranno loro, perché loro non possono vincere, vogliono solo farci vivere in questo perenne alternarsi di terrore e oblio per avere la conferma che noi questo siamo: un mondo che ai loro occhi non sa morire combattendo ma si fa uccidere senza combattere. Loro sono una terribile minoranza che nulla ha di umano come ha detto Francesco commosso, al telefono, con Lucio Brunelli ma che ha la forza del fanatismo e il vantaggio di avere dovunque come campo di battaglia e chiunque come obiettivo. Noi -ed è questa la cosa difficile da dire oggi- rischiamo di avere solo la forza dell'assuefazione. Il veleno è che ci si abitui a convivere con questa macabra lotteria per cui continueremo a fare le cose di sempre ma qualcuno muore, uno su mille, e noi piangeremo, ci indigneremo e poi ci rassegneremo, fino alla prossima estrazione. Sperando distrattamente di non essere estratti. Questo temo ma è solo un brutto pensiero, no, non può, non deve andare a finire così.
Ps. Domani torno in fabbrica e riprendo il mio posto tra i raccontatori un tot al minuto. È poca roba lo so ma ognuno deve fare quello che può.